La storia di ABIM.

La scelta di una vita migliore dipende da noi stessi e parte dalle piccole cose, i pensieri e le azioni di ogni giorno. Quando ancora non ero ben consapevole di questo già avevo dentro di me, quelle piccole cose, quei pensieri e quelle azioni: erano i piccoli gesti del mio vivere inconsapevole la terra nell’infanzia e nell’adolescenza, di cui conservo accese le immagini e vivissimi i ricordi, erano i racconti di nonno Arturo e di mio padre Eduardo, erano – e sono oggi – i miei continui e inconsci pensieri alla terra, al ritorno in lei dopo un percorso di studi e lavorativo non proprio agricolo, alla sfida che mi si parava innanzi.

La consapevolezza che le esperienze della vita familiare, la fatica di ogni uomo e donna che ne hanno fatto parte, contribuiscono alla tua crescita, arriva con il passare degli anni.

E io, Immacolata Migliaccio, mi ritengo una donna fortunata, perché questa consapevolezza oggi fa già parte della mia vita, essendo riuscita prima di altri ad apprezzare la passione e il sacrificio per la campagna della mia famiglia paterna, abbracciandoli e facendoli miei. Quella passione e quel sacrificio sono diventati i tratti distintivi della mia vita, così come è stato per i miei genitori, i miei nonni, i miei antenati.

Questa prematura consapevolezza porta con sé inevitabilmente una grande responsabilità che è quella di preservare questa straordinaria eredità con il mio lavoro e la mia vita, con quei piccoli gesti di ogni giorno: ed è questa la mia scelta migliore.

Nonno Arturo è stato un allevatore di bufale e mio padre Eduardo seguì con decisione le sue orme sin da piccolo, quando – mi racconta – accompagnava mio nonno in campagna alzandosi molto presto al mattino. La giornata veniva vissuta in campagna per tutto il tempo che era possibile, con pienezza e soddisfazione, perché la terra trasmetteva loro un’energia particolare.

Eredito da mio padre la sua fervida convinzione che la terra sia una fonte di benessere per le persone e per gli animali; per decenni ha visto le bufale regalargli il latte per quella che lui considera un elisir di lunga vita: la Signora Mozzarella. Da piccola non riuscivo a cogliere appieno ciò che volesse intendere mio padre ma ora che mi vedo impegnata in prima persona – pur nella mutata realtà aziendale, da zootecnica ad ortiva – sono fermamente convinta che la terra sia la cosa più straordinaria che esista: ed è questo il messaggio che voglio comunicare con la mia vita.

Pensate alla miriade di elementi nutritivi che compongono il terreno, soffermatevi per un attimo a pensare che un semplice seme (a volte più piccolo di un granello di polvere) si trasforma in piantina, crescendo alimentandosi da quel terreno, per poi arrivare a nutrire noi con i suoi frutti: è la terra che ci nutre.
L’espressione che più le si addìce è MADRE TERRA. Proprio come una madre nutre il suo bimbo con il proprio latte ma che, a differenza di questa, invece ci sfama tutti i giorni della nostra esistenza. Per questo motivo dobbiamo rispettarla e sperare che non si stancherà mai di nutrirci.

E quella terra dei miei familiari che un tempo era pascolo per bufale e cavalli, concimata naturalmente per anni, oggi restituisce un terreno fertile per le coltivazioni delle varietà antiche che ho deciso di preservare. La tradizione e la continuità di questi valori sono stati i fattori che hanno altamente motivato la mia scelta di proseguire a far valere le mie ragioni di cuore, e “ritornare” nella mia amata terra per coltivare secondo una logica di vita (da qui bio-logico).

La mia scelta è stata un vero e proprio viaggio con destinazione la natura e mi ha fatto sentire una viaggiatrice di prima classe: ho viaggiato – e viaggio tuttora – con le mie riflessioni e con le mie introspezioni, trovando nella natura, vivendone gli stessi tempi, la loro “naturale” espansione. Come ogni viaggio, anche questo ha presupposto distacchi da una quotidianità consolidata e separazione da ciò che si faceva o si pensava prima della partenza, ma tanto di più mi aspettava all’arrivo: la percezione dell’eloquente silenzio della natura e la coesione della mia coscienza con i suoi tempi.

Ho iniziato il viaggio non sapendo di partire, ho iniziato solo a dare voce alla mia libertà, al desiderio che avevo di incontrare “l’altro nuovo”. Ero solo consapevole del fatto che mi stavo allontanando dalla mia professione precedente, quella che pensavo sarebbe stato lo sbocco “naturale” degli studi di una vita, per poi scoprire che lo sbocco “naturale” proprio nell’identificazione del “familiare che c’è in me”, di quanto “naturalmente” avevo ereditato dalla mia famiglia.
Ma noi giovani, del resto, siamo continui viaggiatori.
Nella valigia ho portato con me tenacia, impegno ed ottimismo. Pur vivendo quotidianamente le tante difficoltà ed imprevisti di ogni genere, a volte paradossali, è un viaggio che non mi fa venire voglia di andar via ma di costruire e alimentare un focolare sempre più di appartenenza alla mia familiare terra.
Ed in quella stessa valigia, ogni volta che sono in viaggio, porto con me il profumo della mia terra, quel profumo che racconta la storia della mia famiglia che questa stessa terra prima di me, e per me, ha coltivato con amore e sacrificio.